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Quante volte ci sentiamo brutte? inadeguate? Sbagliate? troppo grosse?troppo secche? Quante volte parliamo in modo orribile del nostro corpo? Quanto spesso stiamo male perchè pensiamo di non essere abbastanza così come siamo? Ma sopratutto, quante volte pensiamo che questo senso di inadeguatezza sia tutta colpa nostra?
La buona notizia è che non è colpa nostra, ma di una società che da più di mezzo secolo fa di tutto per farci sentire di non andare bene così come siamo, producendo degli standard di bellezza impossibili da raggiungere che creano insicurezze; insicurezze che vanno ad arricchire varie industrie. La cattiva notizia è che questi standard sono talmente radicati nella nostra psiche che è difficile vedere le cose per quelle che sono. Con questo articolo spero di darvi gli strumenti per liberarvi di quel senso di inadeguatezza o almeno di vedere le cose sotto una luce diversa. Forse sono cose che sapete già, ma dato che di cambiamenti consistenti non ce ne sono ancora stati, forse c’è bisogno di dirle ancora una volta!
*Ho scritto questo articolo rivolgendomi alle donne ma vorrei che anche gli uomini lo leggessero e sopratutto che partecipassero alla conversazione.
“Vorrei tanto potermi photoshoppare la faccia quando esco di casa!”
É iniziato così il mio viaggio verso la consapevolezza. Avevo 27 anni, all’epoca facevo la fotografa di moda e vivevo a NYC. Era un pomeriggio qualsiasi, mi stavo preparando per uscire, mentre mi guardavo allo specchio mi sono sentita pensare questa frase, e lì ho capito che c’era un problema.
Erano mesi ormai che mi guardavo allo specchio con le lacrime agli occhi, ci vedevo riflesso un mostro, odiavo il mio volto e il mio corpo; da quel giorno ho iniziato a notare quanto spesso anche le mie amiche si lamentavamo in continuazione dei loro corpi, i mantra ricorrenti: “sono grassa“, “sono un cesso”, “ho le cosce enormi”, “ho il culo da balena”, “la mia pelle è indecente”, “voglio rifarmi il naso”—il naso volevo rifarmelo pure io, anzi ero convinta di dovermelo rifare—”odio la mia faccia” e l’inevitabile “faccio schifo”. Poi un giorno ero sul set, stavo scattando un test per un agenzia di modelle, la modella aveva 14 anni—russa, bionda, alta, magra—e ad un certo punto, senza che glie lo chiedessi, ha iniziato a fare delle pose provocanti, troppo provocanti per la sua età, e mentre la guardavo che guardava dritta nel mio obbiettivo come se volesse scoparselo qualcosa dentro di me si è rotto e ho sentito una voce fortissima dirmi:
CHE CAZZO STAI FACENDO?
E niente del mio lavoro ha più avuto senso.
Mi ci sarebbero voluti mesi di ricerche per arrivarci ma avrei capito che le immagini sono uno strumento potentissimo e se usate nel modo sbagliato possono avere conseguenze devastanti. Col mio lavoro e le immagini che creavo non solo contribuivo a creare standard di bellezza irreali, irraggiungibili, killer di autostima—e è risaputo, che quando l’autostima è bassa non si riesce a realizzarsi— e perpetuatori di disuguaglianza di genere; ma aiutavo pure ad alimentare una macchina infernale progettata appositamente per farci sentire una merda, per farci pensare che l’aspetto esteriore sia più importante di chi siamo dentro, in modo da distrarci dalle nostre capacità e potenzialità , transformandoci in consumatrici e consumatori perfetti.
Benchè anche gli uomini siano targettizzati le donne sono senza ombra di dubbio le vittime più colpite da queste dinamiche tossiche. Non vi sto propinando le solite teorie complottiste, ma verità che abbiamo davanti agli occhi ogni giorno ma spesso non riusciamo a vedere. Penso sia ora di metterle in luce!
1-THE BEAUTY MYTH – COME NASCONO GLI STANDARD KILLER D’AUTOSTIMA
Magra, alta, pelle liscia e uniforme, giovane, bianca. Un immagine della bellezza parecchio limitata che rappresenta una bassissima percentuale della popolazione; eppure è questo lo standard di bellezza che la maggior parte delle donne insegue oggi. Non è sempre stato così però, basta guardare questa immagine per capire che lo standard di bellezza era molto diverso in passato, un corpo formoso e in carne non era mai stato un problema prima degli anni 60.
Come siamo arrivati a pensare di dover assomigliare alle modelle nell’ultima immagine? È iniziato tutto più o meno un secolo fa, durante la prima guerra mondiale: con gli uomini assenti perchè impegnati al fronte, le donne si sono ritrovate a coprire ruoli diversi prima riservati solo al genre maschile, guadagnando così più indipendenza sopratutto economica. Questa indipendenza non piaceva molto al patriarcato che ha trovato un ottimo modo per far spendere quegli extra-cash che le donne stavano accumulando: mettendogli in testa che il loro corpo era un problema, e che dovevano spendere i loro soldi e il loro tempo per sistemarlo. Come han fatto? tramite i media e la pubblicità.
L’industria pubblicitaria [che dopo la guerra aveva cambiato completamente il modo di fare pubblicità: passando da un modello informativo che pubblicizzava prodotti di cui la gente aveva effettivamente bisogno descrivendone l’utilità, a un modello consumistico che induceva il cittadino a consumare sempre di più—sopratutto beni di cui non aveva bisogno ma che “elevavano” il suo stato sociale–andando a toccare il suo subconscio (paure, desideri e insicurezze)con slogan e immagini] voleva creare un prodotto che avrebbe potuto vendere a oltranza, volevano un problema per cui potevano vendere la soluzione in perpetuità, e il corpo femminile era il problema ideale! Così hanno iniziato a dirci cosa non andava bene nei nostri corpi e cosa dovevamo fare per sistemarli, e poi—guarda caso—avevano pronto un prodotto da venderci per aiutarci a risolvere il problema.
L’esempio lampante che conferma questa teoria è la cellulite.
Più del 90% delle donne nel mondo ha la cellulite, fino agli anni 60 non era un problema, anzi la cellulite era normale, era semplicemente carne, non aveva nemmeno un nome. Il nome “cellulite” infatti è comparso per la prima volta in un articolo su Vogue nel 1968, dove la rivista la descriveva come un “attributo deturpante”. Appena quel numero dfi Vogue è arrivato sugli scaffali delle edicole il mito della cellulite è diventato mainstream e improvvisamente le donne hanno iniziato a pensare che quei buchini e quelle fossette che vedevano sulla propria pelle erano un difetto sfigurante che andava eliminato a tutti i costi. Ovviamente Vogue proponeva anche delle “cure” a questa orribile “malattia” appena inventata, tra cui i costosi trattamenti del Beauty Salon di Nicole Ronsard, una donna che negli anni 70 ha scritto diversi libri sulla cellulite…diventando milionaria.
Ed ecco che spuntano come funghi pubblicità di centinaia di prodotti e trattamenti per sconfiggere la cellulite: creme, aggeggi, massaggi, diete, farmaci, integratori, fanghi. Ci siamo cascate tutte ma in realtà la cellulite non ha ne causa ne cura precisa—basta googleare “rimedi per la cellulite” e aprire due o tre siti diversi per capire che ci stanno rifilando delle supercazzole—e nessuno di quei prodotti miracolosi che ci propinano allo sfinimento funziona davvero. Tant’è che negli USA brand come L’Occitane, QVC, Nivea e molti molti altri hanno preso delle belle denunce per “pubblicità falsa e ingannevole” dalla FTC(Federal Trade Commission). In sintesi, la vera cura per la cellulite non c’è perchè non c’è niente da curare, se non una condizione umana naturale trasformata strategicamente in una patologia femminile
Da lì in poi sarebbero comparsi migliaia di articoli sulle riviste femminili di tutto il mondo(e in seguito in TV e online) che—oltre alla cellulite—dicevano alle donne che questa o quell’altra parte del loro corpo non andava bene così com’era—tipo il thight gap, lo spazio vuoto tra le cosce, un must-have!—con un particolare focus sulla magrezza che con gli anni sarebbe diventata sempre più estrema. Un loop tossico che continua ad uccidere la nostra autostima oggi e che ha il solo scopo di arricchire l’industria della bellezza, della moda, della chirurgia estetica, della dieta e quella pubblicitaria. Industrie che creano e si nutrono delle nostre insicurezze, alzando ogni giorno un po di più l’asticella verso altezze che non potremo mai raggiungere.
2-L’INDUSTRIA DELL’INSICUREZZA e LA POTENZA DELLE IMMAGINI
Mai come oggi il mondo è stato così pieno di immagini. Le immagini sono ovunque, solo uscendo di casa senza nemmeno accorgercene ne assorbiamo in continuazione—i cartelloni pubblicitari sparsi per le città, le vetrine dei negozi, etc—e poi ci sono quelle dentro gli schermi—la tv, i soical, il cinema—e anche se noi non ci facciamo caso, tutte queste immagini hanno un effetto sulla nostra psiche: quello che vediamo influenza come ci vediamo.
E se veniamo continuamente bombardate da immagini che rappresentano donne “perfette”—ovvero donne che rispecchiano lo standard di bellezza descritto prima, uno standard che non rappresenta la stragrande maggioranza di noi—è inevitabile vederci imperfette e mancanti, e sentirsi a proprio agio con il proprio aspetto diventa una guerra quotidiana; perchè il messaggio subliminale che interiorizziamo è: “Sei sbagliata, il tuo corpo è sbagliato! Non vai bene così come sei! Devi essere come loro !”.
Ma non potremo mai essere come loro, perchè quelle immagini non sono reali. Mi spiego meglio…
ANATOMIA DI UN IMMAGINE – LA RAGAZZA NELLA FOTO A CUI NON ASSOMIGLIEREMO MAI
Ho lavorato sui set della moda per anni, di quel tipo di immagini ne so qualcosina visto che le creavo. Sappiamo tutti ormai che dietro le immagini editoriali e commerciali ci stanno tante persone, tante ore di lavoro e tanta postproduzione, e che —9 volte su 10—le donne che vediamo sulle pagine delle riviste e nelle pubblicità sono modelle professioniste, ovvero donne—anzi il più delle volte ragazze tra i 14 e i 20 anni—che hanno vinto una lotteria genetica e proprio per quello vengono fotografate. Quello che invece forse non tutti sappiamo è che le donne con quel tipo di fisionomia e tratti del viso—rigorosamente simmetrici—nonostante siano considerate lo standard di bellezza sono meno del 2% della popolazione globale.
E persino loro non vanno bene così come sono: le immagini che le ritraggono sono sempre soggette a manipolazioni. Funziona così: la modella arriva sul set, passa un paio d’ore in hair and make up e un team di professionisti la rende ancora più “perfetta” di prima, poi sul set viene fatta posare sotto luci che appiattiscono ogni eventuale “difetto”, il team si rassicura che non ci sia mai un capello fuori posto, poi una volta finito di scattare seguono ore di photoshop e postproduzione (e non pensate che i video siano esenti dallo stesso tipo di postproduzione, anche lì la pelle viene “lisciata” eliminando ogni poro, le rughe eliminate, il corpo snellito). Insomma a lavoro finito la ragazza nella foto non assomiglia quasi più alla ragazza nella foto; eppure noi guardiamo la ragazza nella foto e ci martoriamo perchè non le assomigliamo. Perchè?
Perchè la-ragazza-nella-foto è l’unico tipo di donna che vediamo nelle immagini che la società ci sbatte in faccia senza sosta; perchè lei è Lo Standard a cui vogliono farci aspirare.
Uno standard irreale e irraggiungibile per il 98% delle donne nel mondo, che ci rende perennemente insoddisfatte del nostro aspetto. Ingiusto? Si parecchio: siamo vittime di un sistema capitalista e consumista studiato ad hoc per mantenerci in quello stato di insoddisfazione e sfruttare le inisicurezze che ne derivano, perchè—come hanno già detto in molte altre prima di me—se tutte le donne nel mondo domani si guardassero allo specchio e si piacessero, tante, tante industrie andrebbero in bancarotta. Perchè le donne felici sono pessime consumatrici!
PICCOLE DONNE COMPRANO
Il nostro viaggio verso l’insicurezza inizia sin da piccole. Già in tenera età infatti viene posta particolare attenzione sul nostro aspetto fisico e l’idea di dover essere belle si inculca nei nostri pensieri. Mentre i maschi si divertono a correre e rotolarsi dove vogliono a noi viene detto di stare attente ai vestiti—molto più scomodi di quelli dei maschi—di non sporcarci, perchè dobbiamo comportarci e apparire “come una signorina”. E poi ci sono le Barbie che hanno un corpo molto simile—guarda caso—a quello delle modelle; e le principesse Disney, tutte bellissime e magrissime, etc etc etc. Ad ora che diventiamo adolescenti siamo piene di paranoie sul nostro aspetto fisico e guardandoci allo specchio iniziamo a fare i conti con il “non abbastanza”.
Ma la mia generazione e quelle precedenti sono state anche abbastanza fortunate, le bambine di oggi devono fare i conti con immagini più idealizzate di quelle con cui siamo cresciute noi—e molto più sessualizzate— e poi subiscono con un marketing spietato mirato al “consumismo da moda e bellezza”. Si sa che la pubblicità per i giocattoli è una grande amica degli stereotipi di genere: mentre ai bambini maschi viengono marketizzati giocattoli che rappresentano forza, avventura e potere, alle bambine viene propinata la solita merda superficiale con focus sull’estetica: la barbie fashionista, le braz che fanno shopping, i trucchi, e—aggiunta inquietante dell’ultima decade–pure la lingerie per bambine!
La pubblicità, i media e l’etica non viaggiano sempre sullo stesso binario…
THE ILLUSIONISTS – I MEDIA: CENSORI DI NORMALITÀ, MANIPOLATORI DI REALTÀ, ARTEFICI DI UNA CULTURA OSSESSIONATA DALL’ IMMAGINE
Come spiega Elena Rossini—regista italiana, producer e public speaker e mia role model personale—nel suo documentario The Illusionists (un documentario che vi suggerisco vivamente di guardare e che, a mio parere, è un importante contributo alla società moderna e dovrebbe essere visto in ogni scuola del pianteta) l’ideale di bellezza è dettato, diffuso e perpetuato dai media—la cui soppravvivenza è totalmente dipendente dalla pubblicità—che da decenni si impegnano a non lasciar passare davanti ai nostri occhi immagini di donne “normali”, agendo da censori, dicendoci che la magrezza è imperativa—ma una magrezza innaturale, che fa sentire grasse ragazze già magrassime—de-normalizzando la normalità.
Solo di recente abbiamo visto un aumento nella diveristà di taglie rappresentate dai media e nella moda si è iniziato ad utilizzare esempi di “bellezza imperfetta”——vitiligine, albinismo strabismo etc—di modelle/i che si distinguono per dettagli insoliti—i cui difetti vengono spettacolarizzati più che celebrati—ma le immagini di “donne normali” sono ancora poche nell’insieme, spesso comunque pesantemente ritoccate (addio cellulite!) e il volto delle modelle rimane il solito viso “perfetto” e simmetrico.
Un esempio lampante di “denormalizzazione della normalità” sono i famigerati peli—oddio!! orrore!—avete mai fatto caso al fatto che nelle pubblicità dedicate alla depilazione, l’immagine è sempre quella di una donna che passa il rasoio/crema/ceretta su gambe e ascelle già depilate completamente prive di peli? Si depilano il nulla! Ed ecco che nella nostra mente si imprime l’idea che i peli siano una cosa innaturale quando invece fanno parte del nostro essere umani. Fun fact: indovinate da dove viene l’idea che la donna debba essere completamente priva di peli?Dall’industria della pornografia!
[Uno studio della Royal Society mostra che se i media aumentassero la presenza di immagini di donne sovrappeso o normopeso si potrebbe ridurre notevolmente il senso di insoddisfazione che la maggior parte delle donne provano per il proprio corpo e pure contribuire alla diminuzione di obesità e disturbi alimentari. Ma i media e gli advertisers se ne fottono perchè per loro sarebbe controproducente.]
Una volta censurate le immagini di donne normali poi—media e pubblicitari—ci riempiono di immagini ingannevoli, ipersessualizzate e iperphotoshoppate, e anche se sappiamo tutti che la maggior parte delle immagini che vediamo sono finte, ritoccate e costruite—anche quelle sui social postate da influencers e ragazze e donne “normali” ormai hanno spesso poco di vero— la nostra percezione della realtà viene comunque distorta. Perchè? Perchè molto raramente vediamo il dietro le quinte o il before & after delle foto.
Se la cellulite viene sempre fatta sparire averla diventa un anomalia(nonostante sia normale); se non vediamo mai immagini di donne normali l’ideale irraggiungibile si insinua nella nostra mente come reale e comune, e così facendo scattano i paragoni tossici che ci fanno pensare che il nostro corpo e il nostro aspetto siano sbagliati. Il senso di inadeguatezza cresce e il “non abbastanza” diventa la nostra realtà quotidiana.
Dopo la censura e la manipolazione arriva la saturazione—che io chiamo bombardamento—ovvero queste immagini fuorvianti che ritraggono standard irreali e corpi idealizzati sono sparse OVUNQUE, e, non a caso, affiancate da pubblicità che ci dicono cosa comprare per ottenere quell’aspetto idealizzato, dandoci così l’illusione che quel tipo di bellezza possa essere comprata. E noi ci caschiamo, riempiendoci di prodotti che non ci servono—l’85% delle spese per prodotti di bellezza viene fatto da donne—convincendoci pure che l’estetica sia una parte importante—per alcune persino fondamentale—della vita.
Perchè il modo in cui i media e gli advertisers usano le immagini è diabolico: le immagini di bellezza sono strategicamente associate a immagini di denaro, successo, ammirazione, amore e felicità. Messaggi che raggiungono dritti dritti il nostro subconscio. Oltre a dirci—anzi imporci—che aspetto hanno la bellezza, la femminilità—ma anche la mascolinità—e la sessualità, tra le righe ci dicono anche che per essere felici, per avere successo, per essere amate—insomma per avere una vita migliore—bisogna essere belle, ricordandoci allo sfinimento che per essere belle bisogna però essere magre. Quante di noi non hanno mai pensato che essere più magre, avere le tette più grosse, o un naso più piccolo avrebbe migliorato la nostra vita?
bellezza = magrezza = felicità
Il modo in cui i media distorcono la percezione del nostro aspetto modifica la percezione che abbiamo del nostro valore come persone(e addio autostima!). E così nasce una cultura ossessionata dall’aspetto esteriore, che è terreno più che fertile per bodyshaming, oggettificazione della donna—e quindi disuguaglianza di genere—ansia, depressione e disturbi alimentari (che per la cronaca sono in crescita esponenziale in tutto il mondo, così come le operazioni di chirurgia estetica) che ci fa credere che il nostro corpo sia un “progetto su cui lavorare” costantemente, finchè non raggiungeremo quello standard irraggiungibile; e così innumerevoli donne muoiono senza mai essersi piaciute. Io non voglio essere una di loro, e voi?
Non voglio deprimervi, anzi, voglio farvi capire come combattere questo sistema ingiusto e malato; Alla fine dell’articolo vi spiegherò qualche trucco per farlo—che per me han funzionato—ma prima ci sono ancora un paio di lati molto oscuri di questa macchina-killer-d’autostima da capire se vogliamo vincere la lotta contro lo specchio, tenetevi forte!
WHITE PRIVILEGE e LA GLOBALIZZAZIONE DELLA BELLEZZA
Ricapitolando: per essere considerata bella dalla società moderna devi essere magra—i rotolini?oddio che schifo!—per sempre giovane—avere più di 40 anni? Le rughe? oddio l’orrore!—e sopratutto BIANCA. Eh si, bianca!
Perchè indovinate qual’è Lo Standard che viene imposto alle donne asiatiche, africane e sudamericane? lo stesso che rifilano a noi!
Quindi oltre a subire pressioni di magrezza e giovinezza alle donne nel resto del mondo—grazie ad una pessima rappresentazione mediatica—viene detto che devono pure sembrare occidentali, andando contro la loro genetica.
E infatti in India—ma anche in molti altri paesi asiatici e africani—il prodotto di bellezza più venduto è lo sbiancante per la pelle—peraltro incredibilmente tossico—in Vietnam anche nei mesi di caldo infernale certe donne vanno in giro in scooter coperte dalla testa ai piedi, con tanto di guanti e volto coperto, pur di non prendere un raggio di sole che potrebbe scurirle la pelle; in Medio Oriente le ragazze già da giovanissime si fanno la rinoplastica per eliminare la gobbetta sul naso tipica dei tratti arabi; in Brasile la liposuzione è all’ordine del giorno; in Korea, Giappone e in molti altri paesi asiatici dal 2015 sempre più donne si sottopongono alla blefaroplastica, l’operazione chirurgica che crea magicamente la doppia palpebra superiore—di cui la maggior parte degli asiatici è priva—regalando loro uno “sguardo più occidentale”.
Un esempio lampante di come le immagini e gli standard occidentali influiscono sugli altri paesi è lo studio fatto negli anni 90 da Anne Becker, un ‘antropologa della Harvard Medical school. Le donne delle Fiji da secoli avevano e apprezzavano un fisico morbido e arrotondato, per loro simbolo di benessere e salute. Questo, fino al 1995, anno in cui è arrivata sull’isola la televisione, e con essa i programmi americani ed europei (tipo Beverly Hills e Baywatch, per chi se li ricorda). La Becker ha intervistato una serie di ragazze a tre settimane dall’arrivo della TV e non avevano problemi con la loro immagine; poi le ha re-intervistate 3 anni dopo, scoprendo che il 74% delle ragazze si sentivano grasse, e l’11% erano diventate bulimiche.
Non so a voi ma a questo punto oltre ad essere schifata, io inizio a incazzarmi come una iena. Come è possibile che ci stiamo facendo snaturare così per assomigliare ad uno standard di bellezza tossico che non ha niente a che fare con noi? Che cazzo ci stiamo facendo fare?!
SESSO, SESSO, SESSO – L’ETERNA DONNA OGGETTO
L’oggetificazione è il processo di rappresentare e trattare una persona come un oggetto sessuale al servizio del piacere sessuale altrui
–Caroline Heldman
Fino a un ventennio fa la pornografia e la pop culture erano due mondi completamente distinti, oggi invece la linea tra l’uno e l’altro mondo è spesso sfuocata…
Perchè il sesso vende, si sa, e chi crea le pubblicità lo sa ancora meglio: andando a colpire il consumatore nel subconscio, stimolando la sua pulsione sessuale, una fracca di soldi è garantita: e infatti per vendere una birra ecco che viene inserita una donna nuda con sguardo pre-orgasmico nell’ad!
L’oggettificazione sessuale della donna è una piaga costante nella nostra società, e non la vediamo solo nei magazines e nella pubblicità: quante volte in un film l’attrice è nuda o sessualizzata completamente fuori contesto e in maniera inutile alla trama? In quanti videogames o cartoni animati i personaggi femminili indossano vestiti succinti—tette rigorosamente enormi e in vista—e super sexy? E i video musicali dove le cantanti donne o le ballerine che fanno da corredo a cantanti uomini sono seminude o in outfit ipersessualizzati? E le veline, letterine, schedine e showgirls usate come elemento prettamente decorativo? Qual’è il messaggio che si imprime dentro di noi?
Prima che qualcuno inizi a darmi della femminista isterica fissate per 30 secondi queste immagini, guardatele bene, una ad una…
Quale donna non vorrebbe farsi tagliare una fetta di culo?! O fare un pompino ad un sandwich o ad un ghiacciolo? O avere accanto un uomo che profuma di vagina? O essere schizzata in faccia da misteriose sostanze? O meglio ancora, essere sodomizzata da un branco di maschi alfa oliati?(si chiama gang-rape ndr) . Finiamo questa scarellata di orrori in stile: come dimenticarsi le pubblicità della catena di fastfood americano Carls Jr che sembrano urlare: “Prostituisci per un hamburger!”…o forse “Scopati un hamburger”, non lo so, giudicate voi!
Vi viene da vomitare? anche a me! Questo tipo di rappresentazione non solo contribuisce a perpetuare la disuguaglianza di genere ma tra le righe, molto molto velatamente, incita pure alla violenza sulla donna—non dico che siano le immagini a causare un comportamento violento ma sicuramente aiutano a normalizzarlo—perchè l’unico messaggio che passa è: “La donna è un oggetto, facci quello che vuoi” E via col catcalling, gli apprezzamenti non richiesti, le molestie verbali e tutto il resto che potrebbe succedere. “Che esagerata” qualcuno penserà a questo punto, e invece no! Ricordiamoci che le donne quando camminano per strada camminano in un mondo molto diverso da quello in cui camminano gli uomini. Un mondo dove c’è la possibilità di venire molestate, aggredite o stuprate, e quando c’è oggettificazione questa possibilità cresce.
È chiaro no? il corpo femminile viene ripetutamente sfruttato per vendere—dai prodotti di bellezza al cibo agli ideali—la donna viene praticamente disumanizzata, rappresentata non come un essere umano pensante, dotato di capacità, talento, emozioni, sentimenti, desideri, sogni e obbiettivi; ma come oggetto sessuale—sempre disponibile—ornamento, decorazione, sopprammobile, pure sottomessa, o, peggio ancora, come un pezzo di carne (pezzi di corpo: un viso, un culo, due tette, gambe, e ogni pezzo ha un valore diverso) . Alla faccia del women empowering!
[*ricordiamoci che l’empowering avviene quando tu sei il soggetto che agisce, non l’oggetto perpetuamente osservato, guardato, usato. Non c’è nessun potere nell’essere un oggetto, per quanto sexy l’oggetto sia. Se vogliamo che le donne raggiungano veramente la parità e le venga riconosciuto lo stesso identico valore degli uomini, l’oggettificazione—quindi dare valore al corpo e non alla persona—individuale o collettiva in qualsiasi forma è un enorme ostacolo a questa parità. E già che ci siamo, se è vero che le parole sono importanti, ricordiamoci che il significato di sexy è: “sessualmente eccitante”]
Molte delle pubblicità sopra illustrate sono rivolte alle donne però. Vi chiederete: ma che senso ha oggettificare sessualmente una donna per vendere un prodotto alle donne stesse? E invece ha molto senso perchè chi crea quel tipo di pubblicità—solitamente uomini—vuole tre cose precise:
1- Che tu (donna) guardi la donna nella foto e inizi a confrontare e paragonare il tuo corpo al suo (sentendoti una merda di conseguenza.)
2- Che tu (donna) inizi a pensare che il tuo valore dipenda dalle attenzioni che il tuo aspetto riceve, sopratutto da parte dello sguardo maschile eterosessuale. [che è la base dell’oggettificazione. Così facendo oltre alle pressioni di dover essere belle e magre si instaurano pure quelle di dover essere sexy.]
3-Che tu (donna) ti veda come un corpo invece che come una persona completa.
Bombardandoci di immagini di donne-oggetto-ipersessualizzate-dai-corpi-idealizzati quindi viene influenzato sia il modo in cui gli uomini pensano che la donna “dovrebbe essere”, sia il modo in cui la donna si vede.
È per questo che molte di noi—sopratutto da giovani—pensano che l’ aspetto fisico sia la caratteristica principale del proprio ‘io’ e che essere sexy sia un obbiettivo di vita, e finiscono ad investire la maggior parte dei loro soldi, tempo ed energie nel cercare di avvicinarsi allo Standard irraggiungibile. È qui che scatta l’auto-oggetificazione…
SELFIE MANIA
“La bellezza” è un sistema monetario. Come in ogni economia è determinata dalla politica e in quest’era moderna— nell’Occidente—la bellezza è il miglior sistema di credenze che mantiene intatto il dominio maschile.
—Naomi wolf, The Beauty Myth
Il problema non è che solo certi corpi sono valorizzati, ma che i corpi delle donne siano valorizzati più della donna in sè. Per tante, tantissime, ragazze essere considerate attraenti è più importante di qualsiasi altra cosa: più dell’istruzione, della loro salute, del loro benessere, dei loro desideri, dei loro obbiettivi. La costante fissa sul proprio aspetto—e questo vale sia per chi si sente bella sia per chi no—rovina le vite di un a miriade di bambine, ragazze e donne che avrebbero potuto usare l’energia mentale dedicata all’estetica per fare qualcosa di importante con le loro vite. Ma non è colpa loro. I media, la pubblicità e i social—per quanto pensiamo di esserne immuni—influenzano la nostra vita e la nostra visione del mondo.
L’auto-oggettificazione è una delle conseguenze del pensare che il nostro corpo sia la parte più importante di noi; è una bestia cementata nella coscienza collettiva femminile dura da sradicare, ed è difficilissimo capire quando ci si stia auto-oggettificando, sopratutto se si passano ore a guardare la tv o a scrollare su instagram e facebook. Ora che le nostre vite sono digitalizzate basta scorrere il dito sullo smartphone per essere mitragliate dallo Standard e pure da chi lo emula/rincorre. [*Siccome molte influencers non sono modelle ma, in teoria, “ragazze normali” si innesca l’illusione di star vedendo qualcosa di “vero” ;ma le foto delle influencers (e il loro aspetto fisico) non sono diverse da quelle discusse fin ora, e così scrollando ci sentiamo ancora peggio]
Rischierò di risultare molto impopolare con quello che sto per dire, perchè sfiorerò dei tasti fragili e traballanti del femminismo, ma lo dico comunque a rischio di essere crocifissa come anti-femminista/ femminista-radicale/suora/frigida/cagna/nemica delle donne/e chi più ne ha più ne metta. Premetto che ho sempre avuto un rapporto più che sereno con la mia sessualità e nella mia vita ho fatto e continuo a fare del sanissimo sesso; ok pronte…?
Tweettare foto delle tue tette—ogni riferimento è puramente casuale—o postare su instagram selfies e immagini di te stessa in pose provocanti con lo sguardo che dice “scopami”, non è un atto rivoluzionario contro il patriarcato, non è women empowering, ma l’ennesima sfaccettatura dell’oggettificazione, che contribuisce a perpetuare la disuguaglianza di genere. Ecco l’ho detto!
Se la foto urla “guardami, desiderami, prendimi, scopami” da ogni pixel—tipo molte delle foto che postano Kim Kardashian e Emily Ratajkowski, per fare due nomi a caso— quella roba non da potere ne alla ragazza nella foto ne al genere femminile. È una forma di ‘misogenia interiorizzata’, una richiesta esplicita di essere guardata, validata, premiata per il corpo, come corpo—e posso garantire al 100% che la validazione istantanea di cuori, pollici alzati e commenti che ne verrà non colmerà il vuoto dell’ autostima mancante—e finchè l’attenzione verrà posta sul corpo non ci libereremo mai dalla nostra prigione fatta di canoni estetici impossibili. La femminilità non c’entra un cazzo con il nostro aspetto esteriore.
Non c’è niente di male nel farsi i selfies, o nel postare foto di te stessa, o nella nudità, o nella sensualità, o nel truccarsi, o nel depilarsi le ascelle, o nell’indossare qualsiasi cosa si voglia indossare; sono il motivo per cui lo si fa e l’atteggiamento con cui lo si fa che fanno la differenza tra espressione e oggettificazione.
Non dico tutto questo per fare la moralista ma perchè instagram pullula di galleries di ragazzine adolescenti piene di selfies mezze nude in pose che sfiorano il soft porn e che hanno lo stesso sguardo della modella russa che mi ha spezzato in due quel giorno sul set a NYC. Molte di noi hanno avuto la fortuna di essere state adolescenti—il periodo più vulnerabile della nostra vita—quando i social non esistevano ancora, eravamo bombardate da molte meno immagini eppure ci siamo fottute l’autostima comunque; immaginatevi come si sente una ragazzina di 14 anni oggi, che non ha l’alfabetizzazione mediatica necessaria per navigare in modo salutare questo oceano di immagini idealizzate e ipersessualizzate di role-models tossiche [tipo la Kardahsian e la Ratajkowski, giusto per rimarcare, perchè certo siamo libere di fare quello che vogliamo con il nostro corpo, ci mancherebbe, ma evitiamo di dire che lo facciamo in nome dell’women empowering se la realtà è ben diversa; ad un certo punto dopo aver guardato i video qui sotto, considerando che queste persone sono considerate dei role models da milioni di ragazzine, il politicamente corretto a tutti i costi può anche andarsene affanculo!] Queste ragazzine sono destinate a una vita di insoddisfazione perenne e ossessione per l’aspetto fisico se non si fa qualcosa per impedirlo.
Secondo gli studi di Caroline Heldman—studiosa e ricercatrice del Occidental College di Los Angeles—come spiega nella sua TEDx talk “The sexy lie”, quelle elencate qui sotto sono le conseguenze del auto-oggettificazione:
- -Depressione
- -Monitoramento del corpo abituale
- -Disturbi alimentari
- -Body-shame
- -Riduzione delle capacità cognitive
- -Disfunzioni sessuali
- -Bassa autostima
- -Media dei voti scolastici più bassa
- -Minore efficenza politica
- -Competizione tra donne
Chi si fa monopolizzare la vita dalla “bellezza” e dal sex-appeal non è stupida e superficiale ma vittima del sistema capitalista e consumistico, pensato solo per lo sguardo maschile; un sistema che la distrugge non rappresentandola, facendole pensare di essere sbagliata, facendola sentire sotto costante osservazione e quindi in “dovere” di mostrarsi in un certo modo. Facendola sentire un corpo. (Un corpo che deve essere sessualmente eccitante).
Ma non siamo corpi fatti per essere guardati, siamo donne, donne che hanno molto di più da dare al mondo che essere sexy.
Naomi Wolf, nel suo libro The Beauty Myth dice:
“Una donna vince quando dà a se stessa e alle altre donne il permesso di mangiare, di essere sensuale, di invecchiare, di indossare tute da lavoro, una coroncina, una gonna di Balenciaga, un mantella di seconda mano o degli anfibi, di coprirsi o andare in giro totalmente nuda; di fare qualunque cosa desideri per seguire o ignorare la propria idea di estetica. Una donna vince quando sente che qualunque cosa un’altra donna faccia con il proprio corpo, senza essere costretta, è solo affare suo”.
Mi piacerebbe tanto vivere in un mondo che rispecchi queste parole, ma quanto è difficile anche solo immaginarselo quel mondo con la società che abbiamo intorno?
E GLI UOMINI?
Anche gli uomini sono sottoposti al peso di una rappresentazione lontana dalla realtà—fisico atletico, addominali scolpiti, gambe e braccia muscolose, petto depilato—e all’essere oggettificati nelle pubblicità, anche se molto meno di quanto succeda alle donne e in modo diverso. L’uomo infatti non è mai rappresentato in maniera passiva o sottomessa, anzi, il modo in cui viene ritratto rafforza gli stereotipi di genere dannosissimi secondo cui ci sia “un modo giusto” di essere uomini: “devi essere forte, dominante, arrogante, non osare piangere!”, propagandando così un concetto di virilità tossica che fa male a tutti/e.
Negli ultimi anni i marketers oltre a schiume da barba, deodoranti e profumi “per l’uomo che non deve chiedere mai” hanno iniziato a vendere cremine per le rughe e tinte per capelli al mercato maschile, ma le pubblicità non sembrano riuscire ad avere lo stesso impatto devastante sull’ autostima degli uomini che ha invece sulle donne, allora ripiegano su elementi più stilistici, come l’abbigliamento o la moda della ‘barba curata’ esplosa negli ultimi anni.
Anche gli uomini sono influenzati dagli standard irreali ma pochi soffrono della sindrome del “mai abbastanza” che affligge una percentuale scandalosa di donne. Perchè? Perchè c’è molto meno pressione mediatica sul loro aspetto fisico, e il loro corpo non è sotto costante osservazione, monitoraggio e giudizio pubblico…
3- BEAUTY OBSESSION – ESSERE O ESSERE GUARDATA?
L’estetica, per quanto la parola in sè sprizzi frivolezza da ogni lettera, non è un problema immaginario o futile, è un problema con cui OGNI donna deve fare i conti GIORNALMENTE per via degli input che la società le butta addosso. Pensare che l’aspetto esteriore non conti in questo mondo risulta molto difficile quando la società che hai intorno sembra fare di tutto per farti credere il contrario.
La società, che spesso sembra schifata da un corpo umano normale, giudica e premia le donne in base al loro aspetto, che infatti è costante argomento di conversazione privata e sopratutto pubblica: i tabloid sbattono in prima pagina la cellulite o l’aumento o perdita di peso di questa o quell’altra celebrità, spesso deridendola, non lasciandole in pace nemmeno durante la gravidanza; i giornali fanno terrorismo psicologico ricordandoci che la prova costume—che ha altamente rotto i coglioni!—è vicina; in tv artiste, ministre, giornaliste iper-professioniste vengono giudicate o derise per il rotolino di grasso in vista, per quello che indossano, per la scelta di uscire di casa senza trucco—sia mai!—o per come portano i capelli—vi ricordate la storia di Giovanna Botteri?!—peraltro spesso da altre donne; alle attrici sul red-carpet vengono fatte domande prevalentemente su quello che indossano invece che sulla loro performance (e ovviamente agli uomini non è riservato lo stesso trattamento in nessuno dei casi elencati); poi compaiono titoli di articoli come quello qui sotto che ti dicono che “devi essere bella e raffinata anche quando sei a casa” e a quel punto ti ritrovi a cercare un lanciafiamme su amazon perchè non ne puoi più di queste stronzate. Anche basta no?!
Il nostro aspetto è messo al centro dell’attenzione e così facendo le nostre capacità vengono messe in secondo piano, sminuite, annullate. E questi atteggiamenti non capitano solo in tv o sui giornali, sono ancora peggio sui social, diventati un campo minato d’odio e d’incontinenza verbale, dove sotto le foto di star e influencer la gente—tristemente molte sono donne—si scatena in commenti carichi di cattiveria, disprezzo, giudizio e derisione rivolta al loro aspetto. Si chiama body-shaming—ovvero prendere in giro o criticare l’aspetto fisico di qualcuno, una pratica apparentemente innocua che però può avere conseguenze devastanti su certe persone, tra cui la depressione—e chissà da dove l’avranno imparato! Purtroppo l’unico modo per eliminare il bodyshaming è estirparlo alla radice, ovvero cambiare l’idea collettiva che l’aspetto del nostro corpo sia una cosa importante.
Non so voi ma io sono stanca di dover vedere queste cose, disgustata dal sistema in vigore, stufa marcia di vedere le donne star male. Non è forse arrivato il momento di ribellarsi allo schifo e iniziare a ritenerlo inaccettabile?
CORPO NEMICO – BODY SHAMING? BODY MONITORING? BODY POSITIVE?
Se il mondo intorno a noi continua a mettere il focus sull’aspetto fisico inevitabilmente iniziamo a farlo anche noi. Diventiamo noi stesse osservatrici del nostro corpo, è come se avessimo uno specchio in testa che ci fa pensare a come gli altri ci vedono. Camminiamo per strada e ci aggiustiamo il vestito, ci sistemiamo i capelli mentre parliamo con qualcuno—io lo faccio continuamente, sopratutto quando faccio le stories su instagram—siamo in un meeting e continuiamo a pensare se le gambe accavallate stanno mostrando la cellulite, andiamo in spiaggia e teniamo indentro la pancia, e, il peggio del peggio—ma penso sia capitato a tutte—stiamo facendo sesso e invece di concentrarci su quello che sentiamo ci paranoiamo pensando a come il partner ci stia vedendo in quel momento…suona familiare? Si chiama body-monitoring e lo fanno tutte le donne. Secondo le ricerche della Heldman(citata sopra) le donne in media lo fa ogni 30 secondi.
C’è una parte di noi nei meandri del nostro subconscio che controlla sempre il nostro aspetto. Le immagini descritte fin ora innescano lo specchio interiore, un occhiata ad un cartellone pubblicitario o alla copertina di una rivista, una scrollata su instagram, ma anche un commento—positivo o negativo non fa differenza—sul nostro aspetto o su quello di qualcun altro, fa tornare la nostra attenzione sul nostro corpo. E quando pensiamo al corpo la mente si distrae: facciamo fatica a concentrarci, ad essere motivate ed efficaci, a sentirci, ad ascoltarci, disconnettendoci sempre di più dalla nostra interiorità, il posto in cui risiedono la nostra forza e il nostro vero valore. Insomma, il monitoraggio del corpo è una processo logorante e limitante che assorbe molte delle nostre energie—energie che potrebbero essere usate per cose più importanti—e oltre a monitorarci ovviamente ci giudichiamo, e solitamente siamo giudici spietate con noi stesse.
Il rapporto tra stima del corpo e stima di sè è un rapporto strettamente intrecciato. Se non ci piace il nostro corpo la nostra autostima vacilla, a volte crolla del tutto, e una bassa autostima è una minaccia alla salute mentale e fisica. Ci impedisce di fare un sacco di cose: dal rinunciare ad uscire di casa, al non far sentire la propria voce, al non riuscire a perseguire gli obbiettivi personali.
Siccome la nostra concezione di bellezza deriva dal canone idealizzato della società un rapporto sano e appagante con il nostro corpo spesso ci risulta impossibile. Nello specchio non vediamo il nostro riflesso ma un immagine distorta da tutti gli input esterni assorbiti durante la nostra vita. A volte ci vediamo una nemica, un corpo da combattere; e iniziamo a fare body-shaming su noi stesse, vergognandoci del nostro corpo—o di parti di esso—insultandolo, parlandone male con le amiche—”faccio schifo”—e quando si disprezza il proprio corpo è difficile prendersene cura.
Proprio per questo è nato il Body Positive movement, un movimento che aveva come scopo quello di insegnare alle persone—ma sopratutto alle donne—ad imparare ad accettarsi. Il messaggio lanciato dal movimento era a grandi linee questo: “È sbagliato soffrire per via del proprio aspetto. Che tu sia grassa, magra, alta, bassa, con i rotolini, senza, con i denti storti, le lentiggini, il seno grande o piccolo—etc etc—vai bene così come sei”
Ma benchè l’intento fosse nobile il movimento ha fallito miseramente, perchè se imparare ad accettarsi come si è fosse cosi semplice non starei scrivendo quest’articolo…
GRASSOFOBIA & DIET CULTURE
Sdoganiamo la parola: GRASSA. Una parola che ci fa paura, che non sappiamo bene come usare, che percepiamo subito in maniera negativa, come se fosse sinonimo di malattia. Una parola che—silenziosamente—implica vergogna. Questo perchè la nostra società soffre di GRASSOFOBIA (fatphobia), ovvero la paura, il disprezzo, il pregiudizio e la discriminazione verso il grasso e le persone grasse; ma anche la paura di ingrassare, e volenti o nolenti ne soffriamo un pò tutti. Per via della rappresentazione mediatica e di tutto quello detto fin’ora, la grassofobia ci ha portato collettivamente come società a considerare le persone grasse pigre, ingorde, prive di autocontrollo; Questo ha delle conseguenze gravi sulle vite delle persone grasse, influisce sul lavoro—dove magari una persona non viene assunta perchè è più grassa di un altro candidato—sul modo in cui i medici trattano le persone, e sul modo in cui vengono trattate giornalmente.
Il corpo grasso—e questo vale ancora una volta più per la donna che per l’uomo—non è mai considerato un corpo e basta, viene sempre associato ad un messaggio di malasalute. Nei film i personaggi grassi inoltre non sono mai rappresentati come persone in posizioni di successo. Tutto questo ha contribuito a creare la DIET CULTURE, la cultura della dieta secondo cui la magrezza e il perdere peso sono valori di importanza assoluta, creando molte credenze false sul cibo, su cosa fa bene e cosa no. Ovviamente le riviste hanno preso lapalla al balzo per bombardarci di articoli che propongono diete miracolose dell’ultima ora, modi assurdi per perdere peso, etc. Dietro il tutto, come al solito c’è un industria iper miliardaria che ogni anno fattura miliardi di dollari sulle nostre insicurezze grassofobiche.
LA VERA BELLEZZA (SECONDO DOVE)
Il marchio DOVE [marchio di proprietà della multinazionale Unilever, che tra il suo range possiede anche Fair & Lovely—lo sbiancante per la pelle più venduto in india—ed è artefice delle pubblicità sessiste di AXE] una volta capito che la maggior parte delle donne erano insoddisfatte del proprio corpo, nel 2004 ha lanciato la sua campagna ‘Real Beauty’ mostrando e celebrando finalmente “donne normali”—anche se un occhio attento nota che comunque le donne rappresentate avevano tutte corpi simili tra loro, con la classica forma a clessidra, sorvoliamo sul fatto che la campagna vendeva un prodotto anti-cellulite—poi ha creato altre campagne video denunciando l’uso di photoshop rendendo il pubblico più consapevole sulla manipolazione delle immagini imperativa dell’industria, e facendo awareness sull’impatto degli standard di bellezza irreali sulla nostra autostima. Anche qui l’intento era nobile e il messaggio positivo: “È sbagliato soffrire per via del tuo corpo. Ogni corpo è bello così com’è” e “Questa è la vera bellezza, donne normali”.
DOVE insomma ha fatto quello che farebbe un amica quando le confessiamo di sentirci brutte, ci ha detto “Ma va, sei bellissima!” peccato che il “sei bellissima” di un amica raramente ci faccia davvero sentire meglio.
Infatti sono passati 14 anni da quella campagna e le donne sono ancora insoddisfatte del proprio corpo. Il problema non è stato risolto, Dove in compenso ha raddoppiato le vendite.
Il discorso di Dove e del body positive movement è comunque legato al corpo e all’aspetto esteriore e con gli anni si è ridotto di nuovo tutto ad una questione di bellezza—su cui il marketing ha mangiato sopra alla grande, stravolgendone quasi il messaggio—incentrata per lo più sulla taglia, dimenticandosi di altri fattori che promuoverebbero davvero la diversità e l’inclusione.
Ma il problema più grande e il motivo per cui questi tentativi di body positivity sono falliti è che il messaggio di fondo che hanno fatto passare davvero è questo: “Soffrire per il proprio aspetto è sbagliato”. E invece no, soffrire per il proprio aspetto è ingiusto, ma non sbagliato. Facendo così oltre all’insoddisfazione per il proprio corpo nella persona che già sta soffrendo si insinua pure il senso di colpa, e si sentirà doppiamente sbagliata, e nuovamente “non abbastanza”, si ritroverà a pensare “Perchè non riesco a piacermi? cosa c’è di sbagliato in me?” e via che l’autostima si abbassa ancora di più.
Poi se per miracolo riusciamo a piacerci davvero così come siamo il mondo ci manda messaggi contrastanti: se non ti curi del tuo corpo non ti ami, se te ne curi sei un egocentrica, se stai male perchè non ti piaci fattela passare e piaciti, se ti piaci sei piena di tè—avete mai provato, quando un uomo ti dice:”sei bella” a rispondere “Si lo so, grazie”, provate, guardate cosa succede, è fantastico!—insomma non si vince mai. Non vi viene voglia di urlare un gran vaffanculo a tutto e tutti?!
L’accettazione è una strada che richiede tempo, tanta forza di volontà e tanto tanto lavoro su se stessa. Prima di imparare a piacerci è fondamentale capire che il nostro valore e le nostre capacità non dipendono e non hanno niente a che fare con l’aspetto fisico. Poi dobbiamo sradicare l’idea che per piacerci dobbiamo raggiungere quel fottutissimo Standard irraggiungibile.
Il percorso per amarsi, piacersi e sentirsi complete è lungo e insidioso e non tutte ce la fanno sempre, e va bene non farcela sempre, purchè ci siano la volontà e la resilienza di continuare a voler star bene.
Il sottotitolo di questo articolo è “Perchè non riusciamo a piacerci così come siamo” non “Come piacerci così come siamo” per una ragione: non c’è una formula, ogni percorso è unico e irripetibile.
Io la mia lotta con l’immagine nello specchio non l’ho vinta, ho smesso di combatterla. Come? Mi sono fatta amica la ragazza che vedevo nel riflesso e poi ho rotto lo specchio…
4- NARRAZIONI DIFFERENTI – ROMPERE LO SPECCHIO
Dopo quel giorno sul set a NYC ho deciso di cambiare completamente la mia vita. Volevo usare il mio lavoro per far star bene le donne, non per opprimerle. Così mi sono lasciata il mondo della moda alle spalle e ho iniziato a viaggiare per il mondo fotografando e intervistando le donne che incontravo per strada—letteralmente per strada—chiedendo a loro cos’è la bellezza; una vera e propria ricerca per riscoprire e ridefinire il significato della parola stessa. Ho chiamato il progetto Quest For Beauty—che vuol dire appunto “ricerca della bellezza”—era il mio modo per riscattarmi per il male che avevo fatto alle donne col lavoro che creavo per la moda.
Parlando con donne di tutto il mondo della bellezza ho iniziato a cambiare totalmente sia la visione che avevo di essa sia la visione che avevo di me stessa, il progetto mi è servito per guarirmi l’anima, e piano piano ho capito che il modo migliore per sbarazzarmi dall’insoddisfazione che provavo quando mi guardavo allo specchio era di guardarlo meno e guardarmi di più dentro invece.
Per sconfiggere il regime della bellezza non basta chiedere ai media di rappresentarci meglio e ri-normalizzare le “donne normali”—non lo faranno mai—bisogna agire da rivoluzionarie cambiando quello che la società ritiene di valore, e, dato che la società la formiamo anche noi insieme possiamo cambiare le cose, o almeno provarci. Ora sappiamo che stiamo venendo manipolate ad odiarci—dai media—e sfruttate per il profitto di industrie che sulla nostra sofferenza fatturano miliardi di dollari; vogliamo continuare a lasciarglielo fare a scapito della nostra salute fisica e mentale o vogliamo essere libere di esistere come persone intere e non solo dei corpi? Per piacersi davvero e liberarsi dalla morsa degli standard irraggiungibili bisogna smettere di dare importanza all’aspetto esteriore, pensare e parlare meno del proprio corpo e dei corpi altrui, smettere di dare valore alla bellezza fisica iniziando a darlo a noi stesse come persone. Ci sono tante piccole cose che possiamo fare per spezzare le catene del “mai abbastanza”…
CENSURATI I PENSIERI E MORDITI LA LINGUA
Basta parlarne, basta pensarci! Non parlare del tuo aspetto con gli altri e blocca—con grazia—chi lo fa con te. Invece di complimentare un amica per la perdita di peso (no, no, no!) o per il nuovo look, falle un complimento che abbia a che fare con qualcosa che ha fatto o con qualche sua qualità. Alle bambine non dire mai “come sei bella” sforzati di dire qualcosa che le possa davvero fare bene “Come sei brava, come sei forte, come sei intelligente”, piccoli gesti che se fatti con costanza hanno un impatto enorme. Ogni volta che ti accorgi di fare un pensiero negativo sul tuo corpo bloccalo subito, non cadere nel loop di seghe mentali auto-distruttivie che ti illustrano tutti i modi in cui non vali abbastanza, sostituiscili con un pensiero positivo invece [so che è difficile ma sforzati di trovarlo e non muoverti da lì finchèlo trovi].
CORPO ALLEATO – L’AMICA NEL RIFLESSO
Invece di pensare il tuo corpo come il tuo acerrimo nemico pensa che è proprio lui a tenerti in vita e a permetterti di fare tutte le cose che fai. Ogni volta che ti becchi lamentarti del tuo corpo rivolgici un pensiero e poi correggiti. Invece di dire “Odio le mie gambe grosse” cambia la narrazione con “Sono grata per queste gambe che mi portano in giro”. Concentrati sulle tue capacità e qualità interiori non sul tuo aspetto.
MEDIA DIET
Fai un detox dai media che propinano Lo Standard. Non comprare riviste che ti bombardano con immagini tossiche, non guardare programmi dove l’aspetto fisico è al centro dell’attenzione. Nutriti di media che fanno bene alla tua salute mentale non che la distruggono.
PULISCI IL TUO FEED – BLOCK. MUTE. DELETE. REPEAT.
Quello a cui facciamo attenzione determina la qualità della nostra vita, se il tuo feed è pieno di foto perfette di modelle e donne perfette che ti fanno paragonare il tuo corpo al loro e ti fanno sentire una merda e scatenano invidia o altri sentimenti negativi…smetti di seguirle. Cerca di seguire la gente per quello che fa e per quello che dice, non per il loro aspetto esteriore. Fai pulizia. Segui gente normale, che fa cose normali, vedrai come ti cambierà l’umore e l’autostima! Ogni volta che scrolli su instagram chiediti: “come mi fanno sentire le foto di questa persona? Seguire questa persona aggiunge valore alla mia vita?” e se la risposta è no schiaccia subito Unfollow.
BOICOTTA, SII POLITICA
Boicotta tutti i brand che per venderti prodotti usano sessismo, stereotipi, o immagini che fanno scattare il “non abbastanza”. Decidere dove mettere i tuoi soldi è una scelta politica. Ricordati che senza di noi quei brand non possono sopravvivere.
FAI SENTIRE LA TUA VOCE – INDIGNATI, INCAZZATI, DENUNCIA, SEGNALA
Oggi si può scatenare uno shitstorm con un click. Grande o piccola abbiamo tutti una voce, usiamola! Se senti qualcuno/a fare body-shaming confrontalo/a; Se vedi una campagna pubblicitaria o un immagine dannosa o tossica su una rivista o su instagram segnalala, fai una story esprimendo la tua indignazione, scrivi alla redazione. Non serve avere 1 milione di followers per far arrivare un messaggio, basta che arrivi a chi lo sappia ascoltare.
CHIEDI AIUTO
A volte rivolgersi a dei professionisti—psicologhe, psicoterapeute etc—è il modo migliore per aiutare a sconfiggere il “mai abbastanza”
INSIEME – UNO SGUARDO AL FEMMINILE
Benchè la competizione tra donne sia innegabile, lo stereotipo comune è quello di pensare che le donne siano competitive tra di loro per natura, e invece no, questa è una grande stronzata! Non è la nostra natura, è la conseguenza dell’oggettificazione—a cui le donne vengono constantemente sottoposte—e del vederci con lo sguardo maschile. L’autooggettificarci, ovvero dare valore a noi stesse in base all’attenzione che il nostro corpo riceve dallo sguardo maschile—e postare le foto che dicono “scopami”—crea la competizione. Pensare—da donna—che le altre donne siano tue nemiche con cui competere è una forma di misoginia interiorizzata
Questa lotta non la vinceremo combattendo da sole o competendo le une contro le altre giudicandoci, ma solo supportandoci a vicenda. Ragazze, siamo tutte nella stessa merda alla fine! Parafrasando Naomi Wolf “il cambiamento più difficile e necessario non verrà dagli uomini o dai media, ma dalle donne e dal modo in cui si vedono e si comportano l’una con l’altra”. Per cambiare la narrazione dobbiamo cambiare il modo in cui vediamo le cose, cerchiamo di vederle con uno sguardo femminile invece che col solito sguardo maschile impostoci fino ad oggi. Se ci pensiamo e vediamo come donne, non come corpi; se tra donne ci comportiamo da amiche, sorelle, compagne di percorso e non da nemiche; se ci auto-rappresentiamo come persone in primis senza trattare il nostro corpo come se fosse un oggetto o, peggio ancora, merce di scambio, allora le cose cambieranno.
Prima di postare un selfie o una foto con lo sguardo provocante chiediamoci “Perchè lo sto facendo? Che messaggio voglio mandare? Lo sto facendo per me? Perchè lo voglio io o perchè sono stata condizionata?”
Autorappresentiamoci. Pensiamo da donne. Sorellanza è una delle parole più belle nel vocabolario.
E ricordiamoci sempre che la perfezione è una grande stronzata!
Dopo aver fatto miei tutti i punti elencati qui sopra il mio rapporto con il mio corpo e con il mio aspetto è migliorato del 200%. Non seguo più nessuna modella, non leggo più le riviste per cui un tempo sognavo di lavorare, a casa non ho la TV; Il naso non me lo voglio più rifare e sono grata di non essermelo mai rifatto, ho eliminato completamente il fondotinta, passo pochissimo tempo davanti allo specchio e investo poco in prodotti; ho ancora qualche fissa—tipo i capelli, l’anno scorso sono andata dal parrucchiere per una spuntatina e quello mi ha tagliato 20 cm, ho passato una settimana a piangere!–la bilancia a volte mi fa ancora paura, ogni tanto mi becco a lamentarmi di nuovo di qualche parte del mio corpo, ma oggi quando vedo la ragazza nello specchio le sorrido sempre, le voglio bene.
Sono passati 5 anni da quando ho iniziato Quest For Beauty, ora lavoro principalmente con ONG in paesi in via di sviluppo, spesso su progetti chedocumentano la violenza contro le donne. Il mio percorso è stato atipico, c’è chi sogna di andare dalle stalle alle stelle, io sono passata dalle passerelle agli slums.
In questi anni ho parlato con centinaia di donne di taglie, età e etnie diverse in Europa, America, Asia e Africa; a tutte le donne che ho intervistato ho chiesto queste 5 domande:
Cos’è la bellezza?
Qual’è la cosa più bella del mondo per te?
Cosa rende una donna bella?
Cosa rende una donna non bella?
Ti senti bella?
Il 98% delle risposte che ho raccolto non hanno niente a che fare con l’aspetto fisico ma con nozioni astratte. Le risposte alla domanda “Cos’è la bellezza?” variano :”è un emozione”, “la risata di un bambino”, “quello che sento quando guardo un tramonto”, “Dio”. Alla domanda “Cosa rende una donna bella?” le risposte più comuni sono: gentilezza, empatia, sicurezza in se stessa. Non è bellissimo?!
Se la maggior parte delle donne nel mondo non pensa che la bellezza sia una questione di estetica, perchè allora lasciamo che la società ci dica il contrario? Perchè lasciamo che siano i media a dettare cos’è la bellezza, la femminilità, la sessualità per noi? Vogliamo continuare a vivere in una società del genere?
Io vorrei vivere in una società dove nessuna bambina, ragazza o donna si debba mai sentire una nullità per il solo semplice fatto di non aver vinto una lotteria genetica. Quella società è possibile. Le cose possono cambiare, le uniche persone che ti diranno che cambiare e’ impossibile sono quelle che hanno interessi nel mantenere le cose come stanno, quindi cambiamo la narrativa, cambiamo il modo in cui le donne si vedono partendo dal modo in cui vediamo noi stesse: non siamo corpi, siamo persone.
La vera rivoluzione inizia sempre dentro di te!
Fai la tua parte.
Love,
—S
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PER APPROFONDIMENTI:
THE ILLUSIONISTS by Elena Rossini
“The Sexy Lie” by Caroline Heldman
“The dangerous ways ads see women” by Jean Kilbourne
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1 Comments
Sara
A pensarci viene la nausea…ho seguito una fitness youtuber (Stephanie Buttermore) che dopo anni di privazioni innaturali per attenersi agli standard estetici del settore, con le relative conseguenze, ha documentato il percorso per riappropriarsi della propria salute. Davvero interessante quanto sia stata criticata 🙁 https://www.youtube.com/channel/UC4gDYbCEIb69uvFmCX5Lyuw